Anglicismi: un mio glossario

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Baseline, binge eating, evidence-based, primary care, stepped-care: tradurre o non tradurre?

Un’interessante caratteristica della lingua medica – e in generale delle lingue speciali – è la presenza di prestiti non adattati dalla lingua inglese. Ciò è dovuto alla dimensione internazionale in cui si svolge la ricerca scientifica e all’esigenza di univocità semantica all’interno di uno stesso ambito specialistico. Occorre inoltre rilevare che la presenza di anglicismi riguarda non solo le lingue speciali ma in genere l’italiano contemporaneo e che molti prestiti non adattati del linguaggio specialistico sono penetrati nel linguaggio comune. Si prendano, ad esempio, i nomi lifting, check-up, screening; o gli acronimi AIDS, HIV, DNA, questi ultimi così diffusi e accettati che proporre un’alternativa italianizzata potrebbe risultare persino fuorviante.

Un prestito viene solitamente introdotto per denominare in modo univoco un nuovo referente (prestito di necessità), ma spesso anche per usare un’alternativa scientificamente più autorevole a un termine già esistente (prestito di lusso). Anglicismi medici come trial, test, outcome trovano in studio clinico, prova/esame, esito/decorso i loro corrispettivi italiani, l’unica differenza apprezzabile è l’intrinseca tecnicità e prestigio sociolinguistico che il termine inglese sembra portare con sé.

Nel voluto tentativo di proporre valide alternative autoctone ad anglicismi comuni, ho redatto un glossario (anglicismi_glossario) che, pur nella sua brevità, chiarisce l’atteggiamento di attenzione linguistica che un traduttore deve avere nei confronti del testo che produce: non basta solo capire quanto sia diffuso un prestito non adattato nella lingua d’arrivo, occorre vagliare l’esistenza di un termine autoctono e prendere sempre in considerazione l’opportunità di utilizzarlo.

Una sensibilità linguistica che diventa indispensabile se il testo si rivolge a un pubblico inesperto. In un documento pubblicato da AIDA Claudio Giovanardi[1] presenta uno studio sulla penetrazione e la comprensibilità degli anglicismi nell’ambito delle terminologie specialistiche. Ne emerge che i parlanti italiani usano molti forestierismi ma ne hanno una conoscenza vaga e imprecisa. Quello che pare mancare, conclude Giovanardi, è la figura del mediatore linguistico (chiamando così in causa anche noi traduttori) che favorisca la comprensibilità del tecnicismo presso gli strati più ampi della popolazione.

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